Aprile

 

La percezione del tempo che passa ci giunge attraverso le cose che cambiano, o che non saranno più uguali a prima, ma soprattutto nei mutamenti sopraggiunti in noi, nel passaggio tra come siamo e come eravamo...

 

Sulle pendici dell'Etna che degradano verso il mare, si respirava già il tepore di Aprile. Quando nella campagna l'acetosella dalle campanule gialle cedeva il posto alla capraggine dai piccolissimi baccelli e dalle minuscole infiorescenze viola.

 

Percorrendo sentieri delimitati da muretti a crudo, ricoperti da grovigli di rovi, da ragazzi scendevamo giù per la collina.

 

La camminata, benché lunga, non ci pesava affatto, mentre attraversavamo un dedalo di stradine quasi sconosciute alle automobili.

 

Oltrepassato un filo spinato divelto, alla fine si discendeva verso est, attraversando la "rasola" di un agrumeto.

 

Era quella la via più breve per giungere a destinazione. Ai bordi crescevano lunghi steli di zizzania, che da bambini avremmo usato per catturare lucertole. Tra i rami e la zagara si intravedeva sempre più vicina l'enorme vastità col suo luccichio di onde, si avvertiva l'odore di salsedine trasportato dalla brezza e nel silenzio giungeva anche il rumore continuo della risacca che tormentava la scogliera.

 

Attraversando scalinate e impervie scorciatoie, oltrepassato l'agrumeto, passavamo tra sciare e rocce coperte da euforbia e cespugli di salsapariglia dai teneri germogli. Su un breve pianoro, tra grandi blocchi di basalto vulcanico abbandonati, sotto i nostri piedi risuonava il crepitio vitreo della piccole scaglie laviche di una cava vicina. Ormai a pochi passi dalla scogliera, da quel magico confine tra la terra e un mondo pieno di fascino e di mistero. Quella incantevole e sconfinata distesa azzurra, quasi come un'immensa creatura vivente che si muove e respira:

Il mare.

 

Stava li, come un amico fedele, confidente segreto di quell'età così leggera e sfuggente.

 

Giungevamo in quel luogo con la spensieratezza di quegli anni. Noi, i nostri vestiti e l'aria d' Aprile, senza oggetti a seguito, solo qualche busta con dentro qualche limone. Pochi istanti per contemplare quella meraviglia, mentre ci liberavamo di calzoni e scarpe per immergerci in acqua. Il luogo era ormai noto. Un basso fondale del litorale roccioso, riparato dalle onde, dove scorrevano sorgenti sommerse di acqua dolce, che favorivano il proliferare delle alghe.

 

Immersi per metà, avvertivamo a tratti l'improvviso abbassamento della temperatura dell'acqua e in corrispondenza di queste zone la crescita delle vegetazioni acquatiche era sempre rigogliosa e abbondante. I primi ciuffi delle turgide piante brunastre erano destinate al rituale assaggio, i limoni infatti sarebbero serviti per essere spremuti sopra, in modo molto spartano, dentro il palmo della mano, avrebbero risaltato il gusto delle alghe ancora salmastro e intriso del profumo frizzante del mare, sotto il tiepido sole di Aprile.

 



- Torna indietro